domenica 14 aprile 2024

Psicopatologia dell'infame involontario

 di Franco Cilli

L'infame involontario è pur sempre un infame, oggettivamente spregevole nel suo esprimersi e nella costruzione delle sue tesi.

A differenza dell'infame "volontario" soggettivamente infame, che coltiva la sua infamia in piena sintonia con la sua personalità, senza alcun senso di colpa ed è totalmente asservito alle esigenze del potere, l'infame involontario ha una storia travagliata alle spalle, fatta di conflitti interiori di esperienze limite, spesso contrassegnate dalla violenza come emersione di un percorso interiore in cui il parassita della doverizzazione ha imposto scelte radicali seppur sofferte. Parliamo di una visione della giustizia universale dove si impone la scelta di stare dalla parte del più debole e degli sfrutta  senza fare sconti alla propria coscienza consapevoli di dover compiere scelte drammatiche e forse senza ritorno.

Una volta però sperimentata la violenza e la drammaticità di certe scelte e mutato il contesto sociale e politico, l'infame involontario è preso da profondi sensi di colpa o disgusto per il suo passato e riversa su alcune categorie di persone il suo rancore, quasi ritenendole colpevoli delle sue scelte precedenti. Il rancore è una sorta di sublimazione del senso di colpa, altrimenti insopportabile. Tutto ciò porta a identificare gli orientamenti politici e la visione del mondo delle categorie di persone incriminate, come il male assoluto o come epifania di una stupidità  metafisica, ignara delle realtà vera e vincolata a precetti e ideologie nefaste.

L'infame involontario entra così in una spirale di pensiero dereistico paradelirante, che lo porta a rimuovere avvenimenti che disconfermerebbero la sua visione del mondo o a reinterpretare la realtà secondo lo schema amico/nemico, dove l'amico, seppure ha dei difetti e delle contraddizioni è pur sempre compreso in un ordine gerarchico di superiorità in termini di civiltà e finalità storiche, mentre il nemico vuole trascinarti nel regno dell'ombra e far regredire la civiltà comprendendola dentro una visione autoritaria e reazionaria, spiritualista e antiilluminista. Una sorta di storicismo del destino manifesto insomma, dove ad esempio gente come i palestinesi non trova posto, in quanto il prodotto di una civiltà retriva e di rango inferiore.

Sorge però spontanea una domanda: perché alcune persone subiscono una tale metamorfosi, mentre altre che hanno avuto le stesse esperienze, mantengono una loro coerenza e una loro razionalità? La risposta credo che sia nella struttura di personalità. Una personalità contrassegnata da vissuti nevrotici e da schemi cognitivi distorti è maggiormente portata a forzare la sua coscienza imponendosi scelte e percorsi vissuti in maniera ambivalente, coltivando il germe di quel pentimento che porta al rancore, al senso di colpa e quindi a una inversione di prospettiva. Chi ha una personalità solida e razionale invece, compie delle scelte spinto da una profonda convinzione e da una forte spinta etica e pur essendo in grado di criticare le sue scelte e ripudiare il suo passato, non è assalito dal demone oscuro che corrode l'anima e reclama una palingenesi totale, come rituale salvifico.

Credo che questa sia la differenza fondamentale.

L'infamia involontaria, non incide particolarmente sulla realtà, ma in determinati ambiti politici e sociali è particolarmente molesta.


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