Questi non sono di montone (ricetta)
Qual è la primissima cosa che deve
fare una persona che ha finito di leggere l'Ulisse di Joyce?
Evitare di montarsi la testa.
Ma si fa presto a dire. In rete,
difatti, si trovano consigli disparati su come leggere l'Ulisse
evitando di leggerlo.
Non scherzo. Si va dall'applicazione
“che permette (solo
con il testo inglese) di “leggere” con le dita l’opera: in
ben quattro livelli di difficoltà è possibile “sbrogliare”
alcune frasi del romanzo e raggrupparle in base a parole chiave.
Perfetta per percorrere l’opera tramite le frasi salienti”,
all'itinerario paratibetano (si va dal Bloomsday
– magari
italiano – all'originale Penguin), o anche a un bel programma
in dodici
passi (leggere Joyce porta
notoriamente all'alcolismo), o alla visione del lettore
dell'Ulisse come maratoneta
(ansimante ma ottimista).
Come dice l'egumeno Cammarota,
il rischio che si corre leggendo questo romanzo è di rimpiangere la
porzione di vita dilapidata nell'impresa. Non è il mio caso (del
resto, a parte per qualche thriller dozzinale, non mi sono mai
pentito di aver letto un libro).
Parleremo (anche in video) dell'Ulisse
nelle prossime settimane, ma vale la pena, tuttavia, di fare qualche
osservazione sulla “difficile lettura” che il libro
rappresenterebbe.
Non si tratta, a quanto pare,
dell'esitazione del lettore medio di fronte ai classici. Può
capitare, suppongo, che chi sia abituato al tono professionale ma
“andante” di romanzi come La Ragazza del Treno, si ritrovi
spiazzato di fronte all'inizio di Guerra e Pace (ma chi è
tutta questa gente? Perché parlano in francese?), tuttavia con Joyce
la faccenda è diversa: la sua “illeggibilità” è proverbiale,
anzi, leggendaria. Ci dovremmo piuttosto meravigliare se il nostro
ipotetico lettore (moderno o modernista che sia) dicesse: “L'Ulisse?
Diamine, è talmente scorrevole! Non riuscivo a scollarmi... Volevo
sapere come andava a finire!”
No. Il problema del lettore “qualunque”
(non quello “ideale” di Eco) è che, leggendo un romanzo di
impianto classico (dai Viaggi di Gulliver a Harry Potter),
si muove spontaneamente col fine di capire chi fa cosa e quando.
Questo, onestamente, nell'Ulisse di Joyce non è che sia
impossibile, ma è talmente arduo che, se ci si ostina perseguire un
tale obbiettivo, si perde qualsiasi godimento di lettura. In fondo
c'è anche chi dice che l'Ulisse non va letto, ma
studiato (e lo dice come se fosse una cosa positiva).
Spiazzato e con un accenno di
frustrazione fulminante (ai reni), il lettore da marciapiede ha
comunque davanti a sé un orizzonte soteriologico: le note.
“Sono salvo! Ecco chi mi dirà chi fa
cosa e quando!”
E avrebbe
ragione. O forse
no, non del tutto.
È davvero indispensabile sapere chi
fossero i fratelli Sheares
(capitolo 12, Il Ciclope)? Voglio dire, tra i diecimila nomi e
riferimenti in cui si imbatte il lettore? Anche perché, mettiamoci
l'animo in pace, quando mai potremo afferrare, seppure in parte,
l'”irlandesità”
del testo?
Probabilmente ha ragione Gianni Celati
a eliminare le note e concentrarsi sul “suono” della traduzione,
affermando che “non è importante capire tutto: è importante
sentire una sonorità che diventa piú riconoscibile proprio quando
ci sembra di piombare fra termini incerti – gerghi fossilizzati,
chiacchiere da pub, stele di varie epoche” (dall'introduzione
all'edizione Einaudi dell'Ulisse). Forse, almeno per il nostro
lettore da marciapiede, è il modo migliore per affrontare l'impresa.
Oppure, e qui devo mettere
impudicamente in campo una mia idiosincrasia, se proprio non possiamo
(e non vogliamo) fare a meno degli apparati, che siano fatti come si
deve.
Vi ricordate la prima, storica
traduzione, quella di Giulio de Angelis?
Il testo del romanzo e il commento con
le note erano in due volumi separati. Si trattava
indubbiamente di una strategia per favorire la buona condotta del
lettore, perché sarà pur vero che non si legge a tavola, ma
è altrettanto sacrosanto che Joyce lo si legga su un tavolo.
Del resto, la prassi di posizionare le
note esplicative in coda al capitolo, o addirittura in coda
all'intero volume, è fastidiosamente pervasiva. Ma anche questo
viene fatto per il benessere emotivo del lettore, che vuole godersi
il suo bel trattato sull'homunculus paracelsiano senza note che lo
“appesantiscano”.
Anatema! Io esigo le note, ma usate
come Dio comanda, cioè così:
E chi non è d'accordo è una
frattaglia.
(Ascoltare anche Domenico Cammarota, riflettere su una strofetta, e procedere oltre). E infine.
(Ascoltare anche Domenico Cammarota, riflettere su una strofetta, e procedere oltre). E infine.
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