mercoledì 21 febbraio 2018

Felix Culpa

di Domenico D'Amico

Il cristianesimo ha dato all'antico concetto dell'Età dell'Oro la forma del Paradiso Terrestre, ma con una vera e propria inversione sociopolitica.
La cultura classica vedeva nella beata umanità che viveva ai tempi del regno di Saturno una collettività civilizzata. L'Età dell'Oro era quella che aveva trasformato gli esseri umani da bestie dei campi in comunità organizzate, rese edotte dagli dèi di tutte le tecniche (agricole, artigianali, speculative) che costituiscono ciò che chiamiamo “cultura”.

Felix Culpa

Questa visione sarebbe scomparsa con la modernità, dato che quest'ultima ha adottato a lungo (ora non più) una visione evolutivo-storicistica delle vicende umane (all'inizio ci sono i cavernicoli, questi inventano la ruota, usano il fuoco, e via via, con un percorso sempre in ascesa, si arriva all'uomo moderno, razionale, occidentale e dotato di armi di distruzione di massa), mentre in quella classica si verificava il contrario, era dopo l'Età dell'Oro che arrivavano le disgrazie della Storia (Età del Bronzo, Età del Ferro – la nostra).
L'Eden della tradizione cristiana sembra un ibrido di entrambe le visioni.
Come nella cultura classica, si passa dal meglio al peggio: da un'esistenza edenica (appunto) a una angosciosa realtà di fatica, dolore e morte. D'Altro canto, in chiave quasi moderna, questa Caduta può essere considerata anche come la fuoriuscita da uno stato di incoscienza animale. Stato, si badi bene, che non è quello amorfo e caotico che precede il regno di Saturno. Nell'Eden gli esseri umani non vivono “come animali” (lasciamo perdere le infinite speculazioni sul modo di essere e di vivere di Adamo ed Eva), il loro contesto è già organizzato e coerente, ma essi lo abitano inconsapevolmente, in un eterno presente: la Caduta li rende coscienti di sé e li consegna al trascorrere della Storia.
Il Medioevo (Dante compreso) ha voluto sovrapporre Età dell'Oro e giardino dell'Eden (con tanto di identificazione cristica del puer virgiliano), ma Esiodo (Opere e Giorni 109-120) (al contrario di Ovidio, Metamorfosi I 89 sgg.) descrive chiaramente una società di agricoltori (mortali), con qualche tratto da Paese di Cuccagna.

La Felix Culpa della teologia (di ispirazione agostiniana) enfatizza la presa di coscienza delle creature umane. L'Incarnazione, che redime gli eredi di Adamo dal Peccato Originale, non mira affatto a ripristinare la condizione edenica, ma a istituirne una (diciamo così) dialetticamente superiore: l'essere umano purificato dal peccato ma consapevole di esserlo. È per questo che il peccato di Adamo ed Eva viene definito “felice”. O come diceva Joyce: “Phoenix culprit”.

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