Quando
abbiamo parlato di homunculus
e golem, lo abbiamo fatto (anche) per sottolineare la diversità
dei personaggi del nostro
romanzo rispetto alle creature artificiali alla Paracelso, create
per un destino di più che abbietta schiavitù. Le nostre mulierculae
sanno quello che fanno e perché lo fanno (a differenza, colgo
l'occasione per dire, delle streghette del Suspiria
“femminista”
di Guadagnino, inconsapevoli e dimentiche pedine della congrega).
È
strano che l'idea di creare schiavi artificiali si sia realizzata, in
epoca moderna, con la creazione di automi non antropomorfi, i quali,
tuttavia, a malapena potrebbero essere definiti “schiavi”. Il
termine “schiavo”, difatti, non avrebbe senso se non in contrasto
col termine “franco”,
e un robot industriale non è un'entità “ridotta” in schiavitù,
non è una creatura resa oggetto, è integralmente “cosa”. Se
incontrassimo un golem, la sua condizione di servo muto (disponibile
da Ikea e su Amazon) ci potrebbe impietosire, per via dei tratti
organici che condividiamo con lui, ma cosa abbiamo in comune col
braccio meccanico di una catena di montaggio? È lo stesso meccanismo
che ci fa provare compassione per gli animali più vicini a noi,
mentre in pochi sono quelli che simpatizzano con creature
evolutivamente più distanti come gli insetti.
Naturalmente esiste anche la tendenza animistica a personificare gli
oggetti, per cui potremmo trovare “simpatico” perfino un
robot.
Il
fatto è che il robot non antropomorfo non può ricoprire il ruolo di
nostro “doppio”. Tra le riflessioni che facciamo nei video
dedicati al racconto di Stevenson Lo Strano Caso del dottor Jekyll
e del signor Hyde, c'è anche quella che, a rigore, Hyde non è
il doppio di Jekyll, o meglio, non è una sua immagine gemellare o
speculare (distorta o meno), ma una sua parte, una sua sezione,
compresa nell'”intero” che è il dottor Jekyll. L'automaton
antropomorfo, invece, è concepito appositamente per essere il
nostro doppio, indipendentemente dalla sua “produttività”. È
quello che hanno in comune gli automata (rinascimentali e moderni) e
gli androidi
contemporanei, uno spirito più artistico che scientifico.
(Del
fenomeno cosiddetto dell'uncanny
valley, con i riferimenti collaterali al perturbante, magari
parleremo un'altra volta).
Due
citazioni da Ghost in the Shell 2: Innocence (Mamoru Oshii
2004):
Gli androidi (...) non sono modelli utilitaristici o funzionali. Vengono realizzati ad immagine e somiglianza umana, un’immagine e somiglianza idealizzata… Ma a quale scopo? Perché gli umani sono così ossessionati dal ricreare loro stessi?
Il dubbio ci attanaglia la mente: se una creatura sembra viva, è viva realmente? Se un oggetto è senza vita può realmente vivere?
È per questo che i robot ci fanno paura… Sono modellati sugli umani, ma in realtà, essi sono umani. Ci mettono di fronte all’orrore di essere un mero meccanismo, semplice materia. In altre parole, ci danno la consapevolezza che noi umani siamo parte del nulla.
Ma
c'è anche giocosa bellezza nelle bambole meccaniche, e a dimostrarlo
ecco qui di seguito alcune versioni dell'aria di Olympia dall'opera
di Offenbach Les
contes d'Hoffmann
(prima 1881) (Hoffmann è stato un vero stakanovista
del genere Doppelgänger).
Interessante
come i registi facciano “ricaricare” l'automa, a volte con una
classica chiave da orologio, altre tramite una specie di wifi.
Patricia Janečkova
Natalie Dessay
Maria Aleida
Kathleen Kim
Elizabeth Futral
Luciana
Serra
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