mercoledì 3 aprile 2019

Oui, je suis Coppelia

di Domenico D'Amico



Quando abbiamo parlato di homunculus e golem, lo abbiamo fatto (anche) per sottolineare la diversità dei personaggi del nostro romanzo rispetto alle creature artificiali alla Paracelso, create per un destino di più che abbietta schiavitù. Le nostre mulierculae sanno quello che fanno e perché lo fanno (a differenza, colgo l'occasione per dire, delle streghette del Suspiria “femminista” di Guadagnino, inconsapevoli e dimentiche pedine della congrega).
È strano che l'idea di creare schiavi artificiali si sia realizzata, in epoca moderna, con la creazione di automi non antropomorfi, i quali, tuttavia, a malapena potrebbero essere definiti “schiavi”. Il termine “schiavo”, difatti, non avrebbe senso se non in contrasto col termine “franco”, e un robot industriale non è un'entità “ridotta” in schiavitù, non è una creatura resa oggetto, è integralmente “cosa”. Se incontrassimo un golem, la sua condizione di servo muto (disponibile da Ikea e su Amazon) ci potrebbe impietosire, per via dei tratti organici che condividiamo con lui, ma cosa abbiamo in comune col braccio meccanico di una catena di montaggio? È lo stesso meccanismo che ci fa provare compassione per gli animali più vicini a noi, mentre in pochi sono quelli che simpatizzano con creature evolutivamente più distanti come gli insetti. Naturalmente esiste anche la tendenza animistica a personificare gli oggetti, per cui potremmo trovare “simpatico” perfino un robot.
Il fatto è che il robot non antropomorfo non può ricoprire il ruolo di nostro “doppio”. Tra le riflessioni che facciamo nei video dedicati al racconto di Stevenson Lo Strano Caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, c'è anche quella che, a rigore, Hyde non è il doppio di Jekyll, o meglio, non è una sua immagine gemellare o speculare (distorta o meno), ma una sua parte, una sua sezione, compresa nell'”intero” che è il dottor Jekyll. L'automaton antropomorfo, invece, è concepito appositamente per essere il nostro doppio, indipendentemente dalla sua “produttività”. È quello che hanno in comune gli automata (rinascimentali e moderni) e gli androidi contemporanei, uno spirito più artistico che scientifico.
(Del fenomeno cosiddetto dell'uncanny valley, con i riferimenti collaterali al perturbante, magari parleremo un'altra volta).

Due citazioni da Ghost in the Shell 2: Innocence (Mamoru Oshii 2004):

Gli androidi (...) non sono modelli utilitaristici o funzionali. Vengono realizzati ad immagine e somiglianza umana, un’immagine e somiglianza idealizzata… Ma a quale scopo? Perché gli umani sono così ossessionati dal ricreare loro stessi?
Il dubbio ci attanaglia la mente: se una creatura sembra viva, è viva realmente? Se un oggetto è senza vita può realmente vivere?

È per questo che i robot ci fanno paura… Sono modellati sugli umani, ma in realtà, essi sono umani. Ci mettono di fronte all’orrore di essere un mero meccanismo, semplice materia. In altre parole, ci danno la consapevolezza che noi umani siamo parte del nulla.

Ma c'è anche giocosa bellezza nelle bambole meccaniche, e a dimostrarlo ecco qui di seguito alcune versioni dell'aria di Olympia dall'opera di Offenbach Les contes d'Hoffmann (prima 1881) (Hoffmann è stato un vero stakanovista del genere Doppelgänger).
Interessante come i registi facciano “ricaricare” l'automa, a volte con una classica chiave da orologio, altre tramite una specie di wifi.


Patricia Janečkova



Natalie Dessay



Maria Aleida



Kathleen Kim



Elizabeth Futral


Luciana Serra


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