Credo
che l'opéra-comique (come l'operetta o l'opera buffa) stia all'opera
“seria” come un bambino alle soglie dell'adolescenza rispetto a
un adulto.
Il
bambino vive le asprezze della vita con infinito dolore, ma allo
stesso tempo può prendere a gioco le parti più orribili
dell'esistenza, come la guerra, la morte e il desiderio.
Un
adulto, d'altra parte, non può “giocare alla guerra” (come fanno
i personaggi della Fille du Regiment), perché l'adulto
conosce l'orrore della distruzione e della strage, e per lui sarebbe
come giocare alle bambole con dei cadaveri. So di esagerare, ma è
per questo che non amo la commedia bellica in stile Operazione
Sottoveste.
Dunque,
la commedia all'operetta, la tragedia all'opera.
Eppure,
come si può constatare da quest'aria dall'opera di Donizetti, è
proprio il candore del contesto narrativo che permette (anche) la
manifestazione di uno struggimento tanto più doloroso quanto più
innocente.
È
la medesima innocenza che traspare dal ricorrente appello rivolto ai
“mes amis”, sia quello di Tonio nei riguardi dei suoi nuovi
commilitoni, sia quello di Marie nel ritrovare, dopo il travaglio
dell'esperienza aristocratica, i suoi amati padri adottivi. Si tratta
dell'intatta, sublime comunanza tra ragazzi, che giocano alla guerra
con feroce e leggiadra serietà.
È
la luminosissima e fuggente amicizia cantata nell'Aquilone di
Pascoli, sudata su un cuscino su cui si incontrano i capelli d'oro
dell'infanzia e l'ombra della morte.
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