sabato 1 febbraio 2020

Victor Hugo, I Miserabili – Citazioni

Augustus Edwin Mulready - Uncared for (1871)


Nel corso della lettura del romanzo di Hugo, intendo riportare qui brani che mi sembrino (per qualsiasi motivo) significativi, aggiornando e ampliando ogni volta il post.
La versione è quella di Liù Saraz per Einaudi

Sia detto en passant, ma che cosa laida è il successo! La sua somiglianza menzognera con il merito inganna gli uomini. Per la massa, il successo ha quasi le stesse sembianze della supremazia. Il successo, sosia del talento, ha saputo sempre ingannare la storia. Solo Tacito e Giovenale ne dubitarono. Ai giorni nostri, una filosofia quasi ufficiale si è addomesticata con il successo, ne porta la livrea, fa servizio nella sua anticamera. Riuscite: ecco la teoria. Prosperità presuppone capacità. Vincete alla lotteria ed eccovi diventato un uomo abile. Chi trionfa è venerato. Nascete con la camicia, ed è fatta! Se avete fortuna, avrete tutto il resto; siate felici, vi crederanno grandi. All’infuori di cinque o sei eccezioni immense che sono lo splendore del secolo, l’ammirazione dei contemporanei è solo miopia. L’indoratura è oro. Se siete il primo venuto, non importa, l’importante è che siate arrivato. Il volgare è un vecchio Narciso che adora se stesso e applaude il volgare. Quell’enorme facoltà per la quale si è Mosè, Eschilo, Dante, Michelangelo o Napoleone, la moltitudine la decreta a prima vista e per acclamazione a chiunque raggiunga il suo scopo in qualsiasi cosa. Che un notaio si trasformi in deputato, che un falso Corneille rappresenti Tiridate, che un eunuco possegga un harem, che un Prudhomme militare vinca, per caso, la battaglia decisiva di un’epoca, che un farmacista inventi le suole di cartone per gli eserciti della Sambre e della Mosa e che metta insieme, con questo cartone venduto per cuoio, quattrocentomila franchi di rendita, che un ambulante sposi l’usura e le faccia partorire da sette o otto milioni, lui il padre e lei la madre; che un predicatore diventi vescovo perché ha la voce nasale; che un amministratore di famiglie benestanti sia tanto ricco, quando va in pensione, che lo fanno ministro delle finanze, questo gli uomini chiamano Genio, come chiamano Bellezza la faccia di Mousqueton e Maestà le sembianze di Claudio. Essi confondono con le costellazioni degli abissi le stelle che le zampe delle oche lasciano nella melma del pantano.

Comunque, ci sono sulla terra uomini – ma sono uomini, poi? – che scorgono in fondo all’orizzonte del sogno le altezze dell’assoluto e che hanno la terribile visione della montagna infinita. Monsignor Bienvenu non era tra questi uomini; monsignor Bienvenu non era un genio. Avrebbe avuto paura di queste sublimità, da cui qualcuno, anche eccelso, come Swedenborg e Pascal, è scivolato nella follia. Indubbiamente queste possenti fantasticherie hanno la loro utilità morale; e per queste ripide vie ci si accosta alla perfezione ideale. Lui prendeva la scorciatoia: il Vangelo.

L’oste, che era anche il cuoco, passava dal focolare alle pentole, molto occupato nella preparazione di un eccellente pranzo destinato a certi carrettieri che s’udivano ridere e vociare rumorosamente in una sala vicina. Ogni viaggiatore sa che nessuno fa più baldoria dei carrettieri. Sul lungo spiedo davanti al fuoco girava una marmotta grassa insieme a pernici bianche e galli di montagna; sul fornello cuocevano grosse carpe del lago Lauzet e una trota del lago Alloz.

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