Augustus Edwin Mulready - Uncared for (1871)
Nel
corso della lettura del romanzo di Hugo, intendo riportare qui brani
che mi sembrino (per qualsiasi motivo) significativi, aggiornando e
ampliando ogni volta il post.
La
versione è quella di Liù Saraz per Einaudi
Sia detto en passant, ma
che cosa laida è il successo! La sua somiglianza menzognera con il
merito inganna gli uomini. Per la massa, il successo ha quasi le
stesse sembianze della supremazia. Il successo, sosia del talento, ha
saputo sempre ingannare la storia. Solo Tacito e Giovenale ne
dubitarono. Ai giorni nostri, una filosofia quasi ufficiale si è
addomesticata con il successo, ne porta la livrea, fa servizio nella
sua anticamera. Riuscite: ecco la teoria. Prosperità presuppone
capacità. Vincete alla lotteria ed eccovi diventato un uomo abile.
Chi trionfa è venerato. Nascete con la camicia, ed è fatta! Se
avete fortuna, avrete tutto il resto; siate felici, vi crederanno
grandi. All’infuori di cinque o sei eccezioni immense che sono lo
splendore del secolo, l’ammirazione dei contemporanei è solo
miopia. L’indoratura è oro. Se siete il primo venuto, non importa,
l’importante è che siate arrivato. Il volgare è un vecchio
Narciso che adora se stesso e applaude il volgare. Quell’enorme
facoltà per la quale si è Mosè, Eschilo, Dante, Michelangelo o
Napoleone, la moltitudine la decreta a prima vista e per acclamazione
a chiunque raggiunga il suo scopo in qualsiasi cosa. Che un notaio si
trasformi in deputato, che un falso Corneille rappresenti Tiridate,
che un eunuco possegga un harem, che un Prudhomme militare vinca, per
caso, la battaglia decisiva di un’epoca, che un farmacista inventi
le suole di cartone per gli eserciti della Sambre e della Mosa e che
metta insieme, con questo cartone venduto per cuoio, quattrocentomila
franchi di rendita, che un ambulante sposi l’usura e le faccia
partorire da sette o otto milioni, lui il padre e lei la madre; che
un predicatore diventi vescovo perché ha la voce nasale; che un
amministratore di famiglie benestanti sia tanto ricco, quando va in
pensione, che lo fanno ministro delle finanze, questo gli uomini
chiamano Genio, come chiamano Bellezza la faccia di Mousqueton e
Maestà le sembianze di Claudio. Essi confondono con le costellazioni
degli abissi le stelle che le zampe delle oche lasciano nella melma
del pantano.
Comunque,
ci sono sulla terra uomini – ma sono uomini, poi? – che scorgono
in fondo all’orizzonte del sogno le altezze dell’assoluto e che
hanno la terribile visione della montagna infinita. Monsignor
Bienvenu non era tra questi uomini; monsignor Bienvenu non era un
genio. Avrebbe avuto paura di queste sublimità, da cui qualcuno,
anche eccelso, come Swedenborg e Pascal, è scivolato nella follia.
Indubbiamente queste possenti fantasticherie hanno la loro utilità
morale; e per queste ripide vie ci si accosta alla perfezione ideale.
Lui prendeva la scorciatoia: il Vangelo.
L’oste,
che era anche il cuoco, passava dal focolare alle pentole, molto
occupato nella preparazione di un eccellente pranzo destinato a certi
carrettieri che s’udivano ridere e vociare rumorosamente in una
sala vicina. Ogni viaggiatore sa che nessuno fa più baldoria dei
carrettieri. Sul lungo spiedo davanti al fuoco girava una marmotta
grassa insieme a pernici bianche e galli di montagna; sul fornello
cuocevano grosse carpe del lago Lauzet e una trota del lago Alloz.
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