mercoledì 5 giugno 2019

Il Conte di Montecristo II

di Domenico D'Amico

Manco a dirlo, nemmeno col secondo video siamo riusciti a completare una (seppure snellita) sinossi del capolavoro di Dumas. Poco male, questo ci dà spazio per ulteriori per ulteriori note marginali (dopo il video).




Come viene detto nel video, Edmond Dantès è un ragazzo che non sa molto delle realtà che esulano dal proprio mestiere (finché Faria non lo informerà, resterà persuaso che sia il sole a girare intorno alla terra, cosa che lasciava indifferente Sherlock Holmes), ed è anche politicamente sprovveduto, ma non è affatto uno sciocco. Anche prima di mostrare le sue straordinarie capacità mnemoniche e imitative (alla scuola di Faria), Dantès si rivela piuttosto acuto: la sua opinione di Caderousse non è influenzata dall'atteggiamento pseudo-amichevole del sarto, ed è piuttosto negativa (“Mah, ancora labbra che dicono una cosa mentre il cuore ne pensa un’altra”); quanto a Danglars, oltre a sospettarlo di truccare i conti, lo ha addirittura sfidato a duello! E, infine, Fernand: a Edmond basta uno sguardo per capire di avere di fronte un nemico... Naturalmente, però, il diciannovenne marinaio non ha gli strumenti e la conoscenza del contesto che gli permetterebbero di comprendere la rovina che lo travolge, e fraintende del tutto il comportamento di Villefort...

Queste sono cose risapute, ma forse non guasta ripeterle.

Il tema cristologico è presente, ma non occorre esagerarne la portata. È vero che la stessa isola di Montecristo sembra simbolizzare il Golgota, è vero che Dantès viene arrestato durante una cena, ma, come abbiamo rilevato, sarebbe una forzatura accostare il duo Danglars-Fernand alla figura di Giuda. È vero che la loro azione rientra nella categoria del tradimento, ma è un tradimento di altra specie, dato che non godevano né della fiducia né dell'amicizia di Dantès. E Villefort non è certamente Pilato.
Ancora: è vero che Faria, in un certo senso, apre la strada al Dantès che risorge come Montecristo, ma vederlo come un novello Giovanni Battista, solo perché, auspicando un'Italia unita, può anch'egli essere definito vox clamantis in deserto, è quantomeno esagerato.
Curiosa la questione se il periodo trascorso tra l'incarcerazione di Dantès e il suo incontro con l'abate Faria (secondo Schopp, ette anni) si possa interpretare come il suo Calvario. Anche questa sembrerebbe una similitudine azzardata, se non che questo numero richiama i deliri millenaristici dei fondamentalisti statunitensi che credono nel cosiddetto Rapture (sette anni di tribolazione, prima o dopo la seconda venuta di Cristo), ma dubito che Dumas coltivasse demenziali (e anacronistiche) letture di Daniele...
Quanto alla Provvidenza, ne riparleremo, oh sì!

Qui la prima parte, qui la terza, la quarta, la quinta

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