mercoledì 22 maggio 2019

Il Conte di Montecristo

di Domenico D'Amico

Viste le precedenti nostre non-autorevoli trattazioni, era inevitabile, o forse obbligatorio, o forse fatale, che impattassimo contro la grande roccia del Conte di Montecristo.
O, se volete, Monte-Cristo (francese, a parte l'errore delle primissime edizioni, Monte-Christo), Monte Cristo (inglese, portoghese), Monte Christo (tedesco), Montecristo (italiano, castigliano)...
Di Alexandre Dumas. Mi fermo al punto, perché ho trovato sempre piuttosto ridondante aggiungere a questo nome la specifica “padre”. Voglio dire che se parliamo di Alexandre Dumas, parliamo di un titano autore della trilogia dei moschettieri, di Montecristo, della Regina Margot, di Giuseppe Balsamo, oltre che di una tonnellata di altre opere (teatrali e non): se invece ci riferiamo all'autore della Signora delle Camelie, allora sì, scriviamo Alexandre Dumas figlio, tanto per evitare equivoci.
Una roccia, dicevamo, e che roccia! La sua forma si può accostare a quella dell'isola su cui riesce ad approdare Edmond Dantès appena dopo la sua evasione dal Castello d'If:

Di lì a venti passi si ergeva un cumulo di scogli bizzarri che si sarebbero potuti scambiare per un immenso focolare pietrificatosi nel bel mezzo della più rovente combustione: era l’isola di Tiboulen.

E difatti, col primo video siamo arrivati a nemmeno metà della sinossi del romanzo, intrico di getti congelati e interconnessi. Comunque sia, eccolo di seguito. Più qualche nota marginale.


Non si tratta di cosa di gran rilievo, ma bisogna osservare che Edmond Dantès, ovvero il giovane marinaio diciannovenne che incontriamo all'inizio della storia, è sì una persona piuttosto ignorante riguardo tutto ciò che è estraneo al proprio mestiere (ce ne accorgeremo quando l'abate Faria si dedicherà alla sua educazione), ma non è affatto un ingenuo. Capisce benissimo quanto sia viscido e infido Caderousse, ha avuto già uno scontro con Danglars (che quasi finiva in un duello) e ha capito che il contabile trucca i libri, e quanto a Fernand, solo un cieco non avrebbe capito di trovarsi di fronte a un nemico mortale. Tuttavia, il ragazzo non può immaginare la congiura di cui è vittima, né tanto meno comprendere le motivazioni di Villefort (elemento estraneo alla congiura, che ne diventa parte integrante per fatale sinergia). Come dire, Dantès non si aspettava di essere il personaggio di un feuilleton.
Con tutto questo intendiamo sottolineare che la metamorfosi che lo farà diventare Montecristo sarà sì profonda, ma non assoluta. Durante tutto l'arco della formazione culturale alla scuola dell'abate Faria, verrà sottolineato come Dantès possegga di già doti notevoli di memoria, intelligenza e adattabilità. Senza questi requisiti innati, il marinaio Dantès non si sarebbe mai incarnato nel superuomo Montecristo.
Curiosamente, invece, è proprio nel romanzo di fantascienza La Tigre della Notte di Alfred Bester (esplicitamente ispirato al romanzo di Dumas) che vediamo una trasformazione integrale ed estrema: Gulliver Foyle, sottoposto a un trauma terribile, da uomo mediocre, ottuso, privo di immaginazione, si trasforma in un'inarrestabile, bestiale, forza vendicatrice.

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