di Domenico D'Amico
«Mio padre si chiama Lenin».
«Mio padre si chiama Lenin».
«Ti stai ripetendo» mi rimbrottò il
Dottore «Anzi, ti stai rimbambendo».
Lo guardai con sconcerto misto ad
animosità, ma dovetti ammettere con me stesso che aveva ragione, e
annuii asciuttamente.
«E allora?»
La mia era una domanda retorica: che
puoi fare contro il rammollimento cerebrale se non toccare ferro e
sperare di non beccarsi una demenza fulminante?
«So io cosa ci vuole, per te!»
affermò invece il Dottore, sorprendendomi.
«Mi rifiuto categoricamente di fare un
clistere di curcuma!»
«In fondo è banale» continuò,
ignorando il mio sarcasmo «Un muscolo che non è attivo si
atrofizza, e questo vale per qualsiasi azione o processo. Quindi,
ipoteticamente, dovrebbe valere anche per quello che resta del tuo
cervello».
«Niente curcuma?»
«Ma guardati, la pelle della faccia
cascante, l'occhio appannato, mezzo rincretinito...»
«Anche lei è un bell'uomo, dottore,
ma mai quanto Franco Strocchi».
«Non nominare Franco Strocchi!»
«Franco Strocchi, Franco Strocchi,
Franco Strocchi, FRANCO STROCCHI!»
«Lasciamo perdere! Stavo dicendo: ho
io l'esercizio giusto per ricablare la tua mente deteriorata...»
«E sarebbe?»
Ero diventato guardingo, perché il
Dottore aveva assunto il tono che utilizza quando ha una delle sue
grandi idee, le quali idee comportano (sempre) sforzi immensi
e (spesso) danni fisici per i terzi coinvolti, terzi che di solito
consistono in me solo.
«Hai letto Siddhartha?» alitò
il dottor Cilli con solennità.
Ero perplesso: cos'era, la sua, una
critica? Un velato riferimento alla stramberia di qualcuno
che, da ragazzo, non leggeva Kerouac o Tolkien ma Dostoevskij e
Restif de la Bretonne?
«No» risposi, molto sospettoso.
«Benissimo! Adesso tu, di tua
spontanea iniziativa, affiderai a te stesso l'incarico di leggere
il romanzo di Hesse e di trarne qualche considerazione significativa,
o che almeno lo sembri... E, sì, niente di meglio di una bella
documentazione video di questo tuo esercizio!»
«Non capisco perché dovrei fare una
cosa del genere!»
«Te l'ho detto, ti ringalluzzirà
l'intelletto».
«Magari a me la nebbia nel cervello
piace».
«Non ti preoccupare, ti sarò accanto
passo dopo passo».
«È proprio questo che mi preoccupa,
invece...»
«È per il tuo bene».
«Non puoi costringermi!»
«SONO IL TUO PSICHIATRA!»
«Be', se la metti così...»
E abbiamo cominciato a fare questi
video.
Qui ne vorrei riproporre qualcuno, e
vorrei cominciare proprio con Siddhartha di Hermann Hesse,
aggiungendo, a seguire, una paio di riflessioni su reincarnazione e
film con personaggi angelici.
Hermann Hesse, Siddhartha - Analisi e commento - Parte I
Hermann Hesse, Siddhartha - Analisi e commento - Parte II
Hermann Hesse - Siddhartha - Analisi e Commento - Parte III
Tenevo a sottolineare la differenza
radicale che, a suo tempo, era emersa tra la visione (induista o
buddista) del ciclo delle esistenze e quella ascrivibile alla
variegata compagine cosiddetta New Age.
Il concetto di reincarnazione
orientale (e, in parte, anche quello occidentale della cultura
classica) è un concetto tragico. Vivere e rivivere è una colossale
fregatura, tant'è vero che la salvezza consiste nel venirne fuori, e
a questo servono gli insegnamenti di Buddha. Nella prospettiva New
Age, al contrario, la reincarnazione è un'idea consolatoria: ehi,
sono stato un pirata dei Caraibi e anche un sacerdote babilonese,
cool!
Qual è la radice di questa differenza?
Può essere utile un ulteriore
accostamento, quello tra due opere cinematografiche che raccontano
storie simili (l'intervento di un angelo nella vita di un essere
umano), ma in modi altrettanto distanti.
Si tratta del celeberrimo La
Vita È Meravigliosa (It's a Wonderful Life, Frank
Capra 1946) e del meno noto Michael
(Michael, Nora Ephron 1996). In entrambi i film, gli angeli
operano una sorta di miracolo atto a mostrare agli esseri umani una
determinata verità.
Nel film di Capra questa verità
(grosso modo) è che le esistenze delle persone sono inesorabilmente
intrecciate, che le azioni e le scelte individuali hanno conseguenze
sociali, e che felicità e comunità sono consustanziali.
Nell'opera di Ephron la prospettiva è
individuale fino al solipsismo. L'angelo interviene per sbloccare
emotivamente l'essere umano e permettergli così di avere una
relazione sentimentale. Tutto qui. Non c'è trama di relazioni, non
c'è interdipendenza, «there's
no such thing as society».
Non c'è da meravigliarsi se nel primo
caso il miracolo comporta la visione distopica della comunità in cui
vive il protagonista (mostrata come sarebbe se lui non fosse mai
nato), mentre nel secondo il miracolo è... la resurrezione di un
cane.
A questo punto è evidente in cosa
risiede la differenza: nell'integralismo individualistico della
cultura capitalistica, totalmente incapace di concepire pensieri
comunitari. L'altro non esiste, o se esiste è un avversario, un
concorrente.
Quindi possiamo bombardarlo, no?
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