venerdì 20 aprile 2018

Direttive dall'Impero dei Segni

di Domenico D'Amico


Di consigli sullo scrivere (e sul narrare) sono piene le fosse, e di solito l'argomento è, oltre che tedioso, totalmente privo di senso: o sono dritte che hanno dalla loro parte solo il potere dell'ovvio (Stephen King che ti consiglia di non far parlare un fresatore come un filologo romanzo) o incitamenti apprezzabili ma superflui (Joe Lansdale che ti intima di scrivere fregandotene del come e perché).
Però, come spesso succede, simili “decaloghi” sono interessanti non per la loro funzionalità (inesistente), quanto per quello che ci dicono riguardo i loro autori.
Di recente mi sono imbattuto in uno di questi casi interessanti, che vedeva “accoppiati” due elenchi di dritte per aspiranti scrittori, uno di Umberto Eco e uno di Elmore Leonard.

Quello di Eco (da altra fonte):
1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
15. Sii sempre più o meno specifico.
16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
34. Non andare troppo sovente a capo.
Almeno, non quando non serve.
35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
40. Una frase compiuta deve avere.

Leonard:
1. Niente descrizioni ambientali, di solito il lettore passa direttamente ai personaggi.
2. Niente prologhi, infastidiscono chi legge.
3. Usare il dialogo tra virgolette e introdurre le battute esclusivamente con "dice".
4. Non accostare nessun avverbio al verbo "dire" (vietato "dice improvvisamente").
5. Fare poco uso di esclamativi, la giusta misura è 2 o 3 ogni 100mila parole.
6. Non usare l'avverbio "improvvisamente".
7. Utilizzare con misura frasi di gergo, straniere o dialettali.
8. Niente descrizioni dettagliate dei personaggi (modello di sinteticità, Hemingway).
9. Condensare al massimo luoghi e situazioni per non rallentare il pathos dell'azione.
10. Eliminare senza scrupoli le parti che il lettore salterebbe.

La cosa che salta agli occhi è l'ironia di Eco. I suoi consigli fanno appello al buon senso, ma evocano anche la volatilità delle regole, mimando il “male” linguistico che pretendono di scongiurare.
Leonard, invece, è mortalmente serio. È un tecnico che ti dice come si fanno le cose. Non sono consigli, sono istruzioni.
Peccato che, dando retta a lui, dovremmo buttare nel cesso il 99,99 % della letteratura mondiale di ogni tempo e luogo, salvando dal macero solo quella minuscola scheggia narrativa rappresentata dal genere praticato dal medesimo Leonard.
Qui si percepisce, quasi fisicamente, la potenza di un'industria culturale pervasiva, totalizzante, che non fa prigionieri, che non accetta compromessi ma esige la sottomissione più completa. Il riferimento a Hemingway è sintomatico: lo scrittore che è un “prodotto” tutt'uno con la sua opera, un oggetto merceologico che trascende la sua eventuale materialità letteraria. Del resto, visto l'elenco di direttive, chi indicare come modello? Flaubert? Dostoevskij? Kafka? Perfino Edgar Allan Poe, nella prospettiva di Leonard, è un mattone indigeribile!
È quasi da ammirare l'indicibile forza di una cultura che può trasformare un nano (relativamente ai giganti europei) in pietra di paragone universale.
Percepite questo potere, e inchinatevi. O perite.

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