giovedì 12 aprile 2018

Misterici Proletari

di Domenico D'Amico

Nelle ultime esposizioni, mi sono accorto di un particolare che mi era passato di mente (sempre che ci avessi mai pensato sul serio): la presenza di un gruppo di individui dall'aspetto peculiare.

Ladra di Fuoco, 1994

Ladra di Fuoco, 1994 [Particolare]

Il Volo di Ebla, 1994

Il Volo di Ebla, 1994 [Particolare]

Il dettaglio più vistoso è che hanno teste di barbagianni.
Questo mi (ri-) porta al nostro romanzo, Spinoza Rosso Sangue. Come? Porgetemi orecchio.

Se un dio del genere Anubi (lasciamo perdere San Cristoforo)

San Cristoforo Cinocefalo (Icona), Museo Bizantino, Atene

Anubi (Mosaico, fine II, inizio III Secolo d.C.) Museo della Città di Rimini

viene definito cinocefalo (cioè “testa di cane”, anche se è di sciacallo) come chiameremo qualcuno con la testa di barbagianni? Non ornitocefalo (“testa di uccello”, e lei, Dottore, non faccia battute!), che si potrebbe riferire a Horus (che la testa ce l'ha di falco), e nemmeno avicefalo, per non confonderlo con una lucertola preistorica.
Direi, visto che il barbagianni in questione ha dell'arancione sotto il bianco, che l'animale in questione sia un Tyto alba guttata (come testimonierebbe il disegno Tra Cinque Minuti in Scena:

Tra Cinque Minuti in Scena, 2003

Tra Cinque Minurti in Scena, 2003 [Particolare]

ma qui il soggetto è completamente diverso, la rievocazione dei miei trascorsi teatrali, rielaborati con una certa licenza immaginativa: il faccia da barbagianni come Gran Promiscuo), e quindi mi sento autorizzato a etichettare queste figure come titocefali.

Ma lasciamo da parte, per ora, le questioni tassonomiche, e cerchiamo di capire cosa siano questi tizi. Oltre alla testa da volatile (cosa che mi ricorderà sempre Bosch),

Hieronymus Bosch - Trittico delle Tentazioni di sant'Antonio (1501 circa), Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona [Particolare]

quello che spicca in loro è l'uniformità. Evidentemente sono operai specializzati, ma le loro tute da lavoro sembrano, appunto, uniformi. Magari sono cloni, come i tirapiedi di Despicable Me. In ogni caso, la loro è un'identità collettiva, in cui il gruppo prevale sull'individuo.

Un'altra cosa evidente è che questi titocefali si trovano, è vero, sullo sfondo (rispetto alla vicenda illustrata dal disegno), ma non sono indifferenti a quello che accade in primo piano, come accade in certe opere d'arte:

Hugo van der Goes - L'Adorazione dei Magi (1470 circa), Gemäldegalerie di Berlino

Hugo van der Goes - L'Adorazione dei Magi (1470 circa), Gemäldegalerie di Berlino [Particolare]

Piuttosto, reagiscono agli eventi, esprimono, per così dire, un parere.

Pieter Bruegel il Vecchio - L'Adorazione dei Magi (1564), National Gallery di Londra

Pieter Bruegel il Vecchio - L'Adorazione dei Magi (1564), National Gallery di Londra [Particolare]

Sono un po' come il Coro della tragedia attica, almeno nella sua evoluzione iniziale: assiste agli eventi, ma vi partecipa anche.

Mi chiedo anche perché abbiano questo aspetto: perché proprio il barbagianni e non, tanto per dire, l'ibis (e con questa citazione di un dio egizio, arriviamo a tre)?
Nella tradizione occidentale i rapaci notturni sono vittime di un pregiudizio plurisecolare, che li collega, essenzialmente, alla stregoneria (scordatevi Harry Potter). Basti pensare che le famiglie cui appartengono gufi e barbagianni fanno entrambe parte dell'ordine degli Strigiformi, che trae origine dal termine Strix, che deriva, è vero, dal latino classico per barbagianni (e a sua volta dal greco στρίξ, a meno che non si consideri il percorso contrario), ma non indica un semplice rapace notturno, quanto piuttosto una creatura malevola:

Ci sono uccelli voraci, non proprio quelli che strappavano il cibo dalle fauci di Fineo, ma della stessa razza: hanno una grande testa, lo sguardo fisso, un becco adatto alle razzie, le penne grigiastre, le unghie a forma di uncino. Volano di notte in cerca di bambini privi di nutrice, li rapiscono dalle loro culle e ne violano il corpo. Si dice che con il becco ne lacerino gli intestini pieni di latte e ne bevano il sangue fino a riempirsi il gozzo. (Ovidio, Fasti, VI 131-138)

In questo brano Ovidio cita anche le arpie, esseri a loro volta in parte uccelli, e possiamo aggiungere all'allegra compagnia la sfinge alata e le sirene (perché lo sanno tutti, no?, che le sirene della mitologia greca – quelle di Odisseo - erano metà donna metà uccello).

Ulisse e le Sirene, anfora attica a figure rosse (480-470 a.C.), British Museum di Londra

Insomma, tutte queste figure, mitologiche o animali, recano lo stigma della mostruosità, della rapacità, dell'antropofagia. Ma forse non è stato sempre così, forse c'è stato un tempo in cui queste entità avevano una funzione protettiva:

Nell’interpretazione di Alinei (1981) le caratterizzazioni materne e positive della strige sono l’antichissimo relitto di una fase totemica in cui l’uomo percepisce se stesso come discendente, o addirittura figlio, di un uccello. Il ricco dossier raccolto in Gimbutas (1990 [1989]) dimostra che gli Strigiformi, rappresentati con genitali femminili e mammelle, erano raffigurazioni preistoriche della Grande Madre. Il processo di demonizzazione avviene dunque in fasi successive (presumibilmente nell’Età dei Metalli) ed è già compiuto (con piccoli residui ormai incomprensibili) nel mondo classico.

Ed è a questo genere di creature semidivine che si ispirano le Tigri Bianche, cioè le “streghe” che appaiono nel nostro romanzo. Naturalmente per noi si tratta (occorre ribadirlo?) di finzione letteraria, che il matriarcato primordiale alla Robert Graves rimane pura invenzione.

Messi insieme tutti questi indizi, ritengo plausibile che i titocefali costituiscano una specie di consorteria esoterica operaistico-sacerdotale, che svolge svariate attività nei luoghi di culto dedicati ad antichissime divinità femminili.

Non possiamo non ricordare, per concludere, che la civetta è anche il simbolo della maggiore (dopo Zeus) divinità classica, Atena. Non a caso abbiamo scelto il suo simbolo come logo per le nostre elucubrazioni letterario-sapienzali.



È davvero molto triste vedere quell'immagine su una moneta che avrebbe dovuto fare onore, rendere omaggio alle radici dell'Europa, e che invece, spregevolmente, oggi è il marchio osceno sulla fronte di un'Europa che ha ingannato, dileggiato, calpestato e infierito sulle spoglie della sua genitrice, la Grecia.
Nessun rapace sarebbe stato tanto spietato e ingordo di sangue.


Valentine Cameron Prinsep – Il Barbagianni


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