di Domenico D'Amico
Nelle ultime esposizioni, mi sono accorto di un particolare che mi era passato di mente (sempre che ci avessi mai pensato sul serio): la presenza di un gruppo di individui dall'aspetto peculiare.
Nelle ultime esposizioni, mi sono accorto di un particolare che mi era passato di mente (sempre che ci avessi mai pensato sul serio): la presenza di un gruppo di individui dall'aspetto peculiare.
Ladra
di Fuoco, 1994
Ladra
di Fuoco, 1994 [Particolare]
Il
Volo di Ebla, 1994
Il
Volo di Ebla, 1994 [Particolare]
Il
dettaglio più vistoso è che hanno teste di barbagianni.
Questo
mi (ri-) porta al nostro romanzo, Spinoza
Rosso Sangue. Come? Porgetemi orecchio.
Se
un dio del genere Anubi (lasciamo perdere San Cristoforo)
San
Cristoforo Cinocefalo (Icona), Museo Bizantino, Atene
Anubi
(Mosaico, fine II, inizio III Secolo d.C.) Museo della Città di
Rimini
viene
definito cinocefalo (cioè “testa di cane”, anche se è di
sciacallo) come chiameremo qualcuno con la testa di barbagianni? Non
ornitocefalo (“testa di uccello”, e lei, Dottore, non
faccia battute!), che si potrebbe riferire a Horus (che la testa ce
l'ha di falco), e nemmeno avicefalo, per non confonderlo con
una lucertola
preistorica.
Direi,
visto che il barbagianni in questione ha dell'arancione sotto il
bianco, che l'animale in questione sia un Tyto alba guttata
(come testimonierebbe il disegno Tra Cinque Minuti in Scena:
Tra
Cinque Minuti in Scena, 2003
Tra
Cinque Minurti in Scena, 2003 [Particolare]
ma
qui il soggetto è completamente diverso, la rievocazione dei miei
trascorsi teatrali, rielaborati con una certa licenza immaginativa:
il faccia da barbagianni come Gran Promiscuo), e quindi mi sento
autorizzato a etichettare queste figure come titocefali.
Ma
lasciamo da parte, per ora, le questioni tassonomiche, e cerchiamo di
capire cosa siano questi tizi. Oltre alla testa da volatile (cosa che
mi ricorderà sempre Bosch),
Hieronymus
Bosch - Trittico delle Tentazioni di sant'Antonio (1501 circa), Museu
Nacional de Arte Antiga di Lisbona [Particolare]
quello
che spicca in loro è l'uniformità. Evidentemente sono operai
specializzati, ma le loro tute da lavoro sembrano, appunto, uniformi.
Magari sono cloni, come i tirapiedi di Despicable Me. In ogni
caso, la loro è un'identità collettiva, in cui il gruppo prevale
sull'individuo.
Un'altra
cosa evidente è che questi titocefali si trovano, è vero, sullo
sfondo (rispetto alla vicenda illustrata dal disegno), ma non sono
indifferenti a quello che accade in primo piano, come accade in certe
opere d'arte:
Hugo
van der Goes - L'Adorazione dei Magi (1470 circa), Gemäldegalerie di
Berlino
Hugo
van der Goes - L'Adorazione dei Magi (1470 circa), Gemäldegalerie di
Berlino [Particolare]
Piuttosto,
reagiscono agli eventi, esprimono, per così dire, un parere.
Pieter
Bruegel il Vecchio - L'Adorazione dei Magi (1564), National Gallery
di Londra
Pieter
Bruegel il Vecchio - L'Adorazione dei Magi (1564), National Gallery
di Londra [Particolare]
Sono
un po' come il Coro della tragedia attica, almeno nella sua
evoluzione iniziale: assiste agli eventi, ma vi partecipa anche.
Mi
chiedo anche perché abbiano questo aspetto: perché proprio il
barbagianni e non, tanto per dire, l'ibis (e con questa citazione di
un dio egizio, arriviamo a tre)?
Nella
tradizione occidentale i rapaci notturni sono vittime di un
pregiudizio plurisecolare, che li collega, essenzialmente, alla
stregoneria (scordatevi Harry Potter). Basti pensare che le
famiglie cui appartengono gufi e barbagianni fanno entrambe parte
dell'ordine degli Strigiformi, che trae origine dal termine Strix, che deriva, è
vero, dal latino classico per barbagianni (e a sua volta dal greco
στρίξ, a meno che non si consideri il percorso contrario), ma
non indica un semplice rapace notturno, quanto piuttosto una creatura
malevola:
Ci sono uccelli voraci, non proprio quelli che strappavano il cibo dalle fauci di Fineo, ma della stessa razza: hanno una grande testa, lo sguardo fisso, un becco adatto alle razzie, le penne grigiastre, le unghie a forma di uncino. Volano di notte in cerca di bambini privi di nutrice, li rapiscono dalle loro culle e ne violano il corpo. Si dice che con il becco ne lacerino gli intestini pieni di latte e ne bevano il sangue fino a riempirsi il gozzo. (Ovidio, Fasti, VI 131-138)
In
questo brano Ovidio cita anche le arpie, esseri a loro volta in parte
uccelli, e possiamo aggiungere all'allegra compagnia la sfinge alata
e le sirene (perché lo sanno tutti, no?, che le sirene della
mitologia greca – quelle di Odisseo - erano metà donna metà
uccello).
Ulisse
e le Sirene, anfora attica a figure rosse (480-470 a.C.), British
Museum di Londra
Insomma,
tutte queste figure, mitologiche o animali, recano lo stigma della
mostruosità, della rapacità, dell'antropofagia. Ma forse non è
stato sempre così, forse c'è stato un tempo in cui queste entità
avevano una funzione protettiva:
Nell’interpretazione di Alinei (1981) le caratterizzazioni materne e positive della strige sono l’antichissimo relitto di una fase totemica in cui l’uomo percepisce se stesso come discendente, o addirittura figlio, di un uccello. Il ricco dossier raccolto in Gimbutas (1990 [1989]) dimostra che gli Strigiformi, rappresentati con genitali femminili e mammelle, erano raffigurazioni preistoriche della Grande Madre. Il processo di demonizzazione avviene dunque in fasi successive (presumibilmente nell’Età dei Metalli) ed è già compiuto (con piccoli residui ormai incomprensibili) nel mondo classico.
Ed
è a questo genere di creature semidivine che si ispirano le Tigri
Bianche, cioè le “streghe” che appaiono nel nostro
romanzo. Naturalmente per noi si tratta (occorre ribadirlo?) di
finzione letteraria, che il matriarcato primordiale alla Robert
Graves rimane pura invenzione.
Messi
insieme tutti questi indizi, ritengo plausibile che i titocefali
costituiscano una specie di consorteria esoterica
operaistico-sacerdotale, che svolge svariate attività nei luoghi di
culto dedicati ad antichissime divinità femminili.
Non
possiamo non ricordare, per concludere, che la civetta è anche il
simbolo della maggiore (dopo Zeus) divinità classica, Atena. Non a
caso abbiamo scelto il suo simbolo come logo per le nostre
elucubrazioni letterario-sapienzali.
È
davvero molto triste vedere quell'immagine su una moneta che avrebbe
dovuto fare onore, rendere omaggio alle radici dell'Europa, e che
invece, spregevolmente, oggi è il marchio osceno sulla fronte di
un'Europa che ha ingannato, dileggiato, calpestato e infierito sulle
spoglie della sua genitrice, la Grecia.
Nessun rapace sarebbe stato tanto spietato e ingordo di sangue.
Valentine
Cameron Prinsep – Il
Barbagianni
Bellostopost!
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