mercoledì 26 febbraio 2020

Che ci fanno le Erinni all'Inferno?


di Domenico D'Amico


Le antiche divinità olimpiche appaiono in Dante solo come emblema, o contrassegno della divinità trinitaria (soprattutto quando allude al Figlio, o al Padre, chiamandoli “sommo Giove”) e delle sostanze angeliche. Drammaticamente troppo ingombranti (che incarico affidargli?), patiscono forse l'estinzione cultuale che hanno subito con l'avvento del Cristianesimo.
Ci sarebbe un'eccezione, il Pluto del Canto VII, figura ambigua, dato che è possibile Dante non facesse distinzione tra Plutus, Pluti (dio della ricchezza) e Pluto, Plutonis (cioè Ades, re degli Inferi), e anche perché, a differenza di altre creature traghettate dal mito classico all'immaginario dantesco (Minosse, Caco, il Minotauro, i Centauri, le Arpie, eccetera) questa figura non sembra avere nessuna funzione all'interno della struttura penitenziaria infernale. Inoltre, visto che chi “comanda” laggiù non è lui, ma Lucifero (cioè Satana, che Pluto invoca col celebre “Pape Satan Pape Satan Aleppe”), non ce lo vediamo proprio come divinità olimpica decaduta, o forse la definizione di “gran nimico” è da attribuire alla sua parentela (Ades, dopotutto è il fratello di Zeus), per cui, se Giove può essere emblema di Dio, o di Cristo, Plutone può esserlo di Satana.
Chissà.
Ma se gli dèi latitano nell'Inferno dantesco, le creature mitologiche, per così dire, gerarchicamente inferiori, sono una vera folla.
Alcune di esse sono smaccatamente incanaglite (Cerbero, Minosse, Caco, il Minotauro), altre decisamente no.
In precedenza abbiamo accennato all'eccezione costituita dai centauri, ma ci siamo dimenticati delle arpie (di cui il pellegrino Dante ci informa, senza mai dire se le abbia viste direttamente). È vero che il loro ruolo (quello di potare le anime-albero dei suicidi, causando “dolore, e al dolor fenestra”) le avvicina ai diavoli veri e propri, ma, diciamolo, continuano a fare quello che facevano sulla Terra, rendere la vita impossibile a quelli (come gli esuli troiani) che se le ritrovano tra i piedi.
Caso diverso, secondo la mia modestissima opinione, quello delle Erinni, che Dante e Virgilio vedono sbraitare in cime alle mura della città di Dite. Quale mai potrebbe essere la loro funzione?
Dante segue l'esempio di Virgilio e Ovidio (vedendo le Furie più come seminatrici di discordia e caos che vendicatrici) ed è vero che le “meschine” di Proserpina abitano il luogo dove vengono puniti i frodolenti, ma è evidente che non se ne vanno in giro a tormentarli (come fanno i diavoli dell'immaginario cristiano).


Commettendo uno sfrontato sincretismo, dato che difficilmente Dante ebbe cognizione delle Eumenidi di Eschilo, oserei dire che Aletto, Tisifone e Megera si trovano negli Inferi in pensione.
Una volta divenute “benevole” a vantaggio del matricida Oreste, e in seguito obliterate dal culto del vincente cristianesimo, dove altro sarebbero potute andare, se non in posto, diciamolo, congeniale al loro carattere arcigno? Per loro, la città di Dite, con le sue “meschite” infuocate, sarebbe l'equivalente della Florida degli anziani statunitensi.
Quanto al loro comportamento alla vista di Dante, potrebbe sembrarci eccessivo (strillano e si graffiano il petto), tanto da farle sembrare ancora le Furie che erano un tempo, ma è solo questione di abitudine, è il loro “normale” modo di manifestare dispetto, in questo caso per l'arrivo di un inaudito rompiscatole (un vivo!) che si presenta a turbare il loro tranquillo ritiro.
Si tratta, l'avrete capito, solo di un'ipotesi giocosa; in ogni caso sono orgoglioso dell'endecasillabo che le fa da titolo.

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