giovedì 18 luglio 2019

Il Conte di Montecristo – Note sparse


di Domenico D'Amico


Montecristo surrogato di Nietzsche
Gramsci non poteva conoscere i nicciani di sinistra, e in ogni caso: siamo sicuri che il superuomo, od oltreuomo, di Nietzsche sia poi tanto grandioso? Il martellante elogio di un'aristocrazia brutale eppure danzante, innocente ma spietata, ascetica e dionisiaca insieme, un'aristocrazia di “leoni che ridono”, tutta questa propaganda, come ci insegna Papini, non è forse alla fin fine solo paccottiglia, ersatz, non è, oltre che pauroso, anche fondamentalmente ridicolo? Tra l'uomo qualunque, impotente e vittima dei potenti, che fantastica una rivincita per procura leggendo Dumas, e il sottile filologo che sospira pensando alla “bestia bionda”, c'è veramente tanta differenza?

Non sai con chi hai a che fare
«Credete forse di avere a che fare con pigmei della vostra schiatta?», proferì Bertuccio con un tono a tal punto pacato e uno sguardo a tal punto sicuro che Andrea ne fu smosso sino in fondo alle viscere. «Credete forse di avere a che fare con i vostri scellerati pecoroni del bagno penale, o con i vostri ingenui farlocchi del bel mondo? Benedetto, voi siete in una mano terribile, questa mano acconsente ad aprirsi per voi: profittatene. Non giocate con il fulmine che essa depone un istante, ma che può riagguantare se tentate di intralciarla nel suo libero moto».


Antony. Dramma in cinque atti Alexandre Dumas, Il Dramma 1947

Un tanto a riga
Forse il severo giudizio sulla ridondanza dei dialoghi di Dumas (pagato un tanto a riga) è eccessivo. Io trovo invece che, non sempre ma spesso, tali “lungaggini” non siano altro che il risultato di una spinta visione scenica del dialogo. Ecco un esempio: dal punto di vista “narrativo” potrebbe sembrare un riempitivo, ma provate a immaginare la scena teatralmente (o cinematograficamente), e ne vedrete tutta la fresca dinamicità.
In quel momento la contessa vide Franz e con la mano gli fece un grazioso cenno, al quale lui rispose con un rispettoso inchino della testa.
«Sembra proprio che siate nelle sue grazie!»
«Ebbene, ecco dove vi sbagliate, e che farà commettere continuamente a noi francesi mille sciocchezze quando siamo all’estero: è l’errore di sottoporre tutto ai nostri punti di vista parigini; in Spagna e soprattutto in Italia non giudicate mai dell’intimità delle persone dalla libertà dei loro rapporti. Con la contessa ci siamo trovati simpatici, tutto qui».
«Simpatia di cuore?» domandò Albert ridendo.
«No, di spirito e basta» rispose serio Franz.
«E in quale occasione?»
«Nell’occasione di una passeggiata al Colosseo simile a quella che abbiamo fatto insieme».
«Al chiaro di luna?»
«Sì».
«Soli?»
«Più o meno!»
«E avete parlato…»
«Dei morti».
«Ah! – esclamò Albert, – davvero piacevole. Ebbene, vi prometto che se avrò la fortuna di essere il cavaliere della bella contessa in una passeggiata simile, non le parlerò che dei viventi».
«E forse avrete torto».
«Nell’attesa, mi presentate alla contessa come avete promesso?»
«Appena calato il sipario».
«Com’è lungo questo primo atto!»
«Ascoltate il finale, è molto bello e Coselli lo canta mirabilmente».
«Sì, ma che aspetto!»
«La Speck non potrebbe essere più drammatica».
«Capite bene che dopo aver sentito la Sontag o la Malibran...»
«Non trovate eccellente il metodo di Moriani?»
«Non mi piacciono i bruni che cantano da biondi».
«Ah, mio caro – disse Franz voltandosi, mentre Albert continuava a puntare il suo binocolo, – in verità fate troppo il difficile».

Montecristo e la violenza fisica
Montecristo ha una grande dimestichezza con le armi, ma non lo vediamo praticamente mai usare la forza contro i suoi nemici: il Montecristo con la spada in mano dei film è un'accomodamento. Sappiamo che, quando Edmond Dantès era ancora solo Edmond Dantès, egli aggredì un secondino, ma si trattò di un atto inconsulto. Montecristo, invece, non agisce quasi mai in maniera violenta. Si può supporre che eventuali atti di forza li delegherebbe ai suoi sottoposti (immaginatevi un bandito come Luigi Vampa che vi garantisce, più che devozione, obbedienza!), ma è altrettanto indubbio che Montecristo trasuda violenza, una violenza mirata, calcolata, inesorabile, commisurata alla sua idea di vendetta. Siamo certi che, volendo, potrebbe affrontare qualsiasi avversario, e prevalere:
«Intendiamoci: mi batterei in duello per una quisquilia, per un insulto, per una smentita, per un oltraggio, e tanto più a cuor leggero in quanto, grazie all’abilità che ho acquisito in tutti gli esercizi del corpo e alla lenta consuetudine al rischio che ho preso, sarei pressoché certo di uccidere il mio uomo».
 «In tal caso – dichiarò Beauchamp – non mi resta che stabilire le condizioni del duello».
 «La cosa mi è del tutto indifferente», disse il conte. «Era inutile venire a infastidirmi allo spettacolo per cosa di sì poco conto. In Francia ci si batte alla spada o alla pistola; nelle colonie si prende la carabina; in Arabia si ha il pugnale. Dite al vostro cliente che, sebbene oltraggiato, per essere eccentrico fino in fondo lascio a lui la scelta delle armi, e accetterò senza discussione, senza contestazione; tutto, capite bene? Tutto, persino la sorte per decidere chi tira per primo, la qual cosa è sempre una sciocchezza. Ma per me è diverso; io sono sicuro di vincere».
 «Sicuro di vincere!», ripeté Beauchamp, guardando il conte con gli occhi sbarrati.
 «Eh certo – ribadì Montecristo alzando lievemente le spalle – altrimenti non mi batterei con monsieur de Morcerf. Lo ucciderò, così va fatto, così sarà. Fatemi solo sapere, questa sera, con un biglietto, l’arma e l’ora; non amo farmi attendere».
L'unica scena in cui vediamo Montecristo esercitare violenza fisica è quella del tentato furto da parte di Caderousse: Montecristo, protetto da un corpetto di maglia metallica, si lascia deliberatamente pugnalare dall'ex sarto, per poi torcergli il polso fino a slogarlo:
Il conte gli premette con il piede sul capo ed esclamò:
 «Non so cosa mi trattiene dal romperti il cranio, scellerato!».
Sullo schermo, tutta questa violenza latente in un soggetto così marcatamente atto a esercitarla, sembra a molti sprecata, e si cerca di rimediare: vuoi mettere un bel duello con la spada?



Scena da The Count of Monte Cristo (Rowland V. Lee 1934)

Scena da Monte Cristo (Emmett J. Flynn 1922)

Il multiattrezzo narrativo
La sequenza di Caderousse e il diamante da cinquantamila franchi è un esempio magnifico del talento narrativo di Dumas.
Dantès, travestito da Busoni, rintraccia Caderousse, in cerca di informazioni. Sa già cosa è accaduto, ma gli mancano i dettagli. Questa sequenza riassume davanti ai nostri occhi quello che è accaduto tra l'arresto di Dantès e la sua evasione, e lo fa con tanta acribia che Caderousse smette quasi di vestire i panni del monologante per assumere quelli del narratore (succede anche, per esempio, quando lo smascheramento di Fernand da parte di Haydée in parlamento ci viene riferito da Beauchamp): si impossessa di quel materiale ponendoci intorno le proprie virgolette, generando, nei dialoghi, una vera foresta.
Anche questo racconto è movimentato ed eccessivo: il padre morto di fame, la fidanzata che sposa il suo rivale, i cattivi che prosperano (biblico)... Ma il capitolo non opera solo al livello di informazione per il lettore. Il diamante che Dantès mostra a Caderousse per invogliarlo a parlare, ha anche un'altra funzione. Montecristo prende estremamente sul serio il suo ruolo di collaboratore esterno della Provvidenza. Il diamante, quindi, è insieme un'occasione e una tentazione. Come Montecristo dirà a un Caderousse morente, l'ex sarto ridotto in bolletta potrebbe approfittare dell'inusitata fortuna e decidersi, finalmente, a “rigare dritto”...
Sappiamo quale scelta fa Caderousse (per quanto cerchi di dare tutta la colpa alla moglie), e la fine che fa. Ultimo elemento narrativo, l'ingrediente principe del contar storie: l'ambiguità.
Montecristo conosce bene il carattere di Caderousse, sa quanto sia avido e amorale, per cui sorge il dubbio che offra il diamante al furfante non per dargli una seconda occasione, ma piuttosto per rovinarlo.



Quante coincidenze! Non saremo mica dentro un feuilleton?
Se Montecristo vuol essere uno strumento della Provvidenza, allora deve anche comportarsi come tale, quindi mettere in moto eventi che sembrino prodigiosi.
Esempio: il salvataggio del vecchio Morell. Dantes potrebbe far avere al suo antico principale il denaro necessario per porlo al sicuro dal fallimento, farglielo avere anonimamente, senza bisogno della sciarada delle cambiali rinnovate e della resurrezione (all'ultimo istante!) del Pharaon. Si dirà, certo, che è il genere stesso della narrazione che impone il cuore in gola, è un feuilleton, mica Henry James! Verissimo, eppure c'è anche una motivazione interna al racconto che giustifica questa messa in scena. Dantes, pur non essendosi ancora totalmente trasformato in Montecristo, si è già persuaso di essere uno strumento della Provvidenza, uno strumento della giustizia di Dio. Ai suoi occhi, dunque, è così che tale Provvidenza deve manifestarsi, in maniera misteriosa, enigmatica, addirittura miracolosa. Come nota Albert a un certo punto (di fronte alla prodigiosità degli eventi che gli vengono raccontati): “Con voi, mio caro conte, non si vive, si sogna.”
Lo stesso succede con Bertuccio ad Auteuil:
«Signore – disse l’intendente, – è il destino a determinare tutto questo, ne sono sicuro: innanzitutto voi comprate una casa proprio a Auteuil, questa casa dove io ho commesso un omicidio; scendete nel giardino dalla stessa scala da cui è sceso lui; vi fermate nello stesso luogo dove ricevette il colpo; a due passi da qui, sotto questo platano, c’era la fossa dove aveva appena seppellito il bambino; tutto questo non può essere opera del caso: somiglierebbe troppo alla Provvidenza».
O il commento di Montecristo (nelle vesti di Busoni):
«Andate avanti, mi par di ascoltare il racconto di un sogno», commentò l’abate. «Tuttavia io stesso ho visto cose così straordinarie che quelle che mi dite mi sbalordiscono meno».
Esistono due tipi di coincidenza.
Il primo non contempla una forza causante. Sulla linea di Marsilio Ficino, il collegamento tra i voli degli uccelli, o il moto degli astri, con le vicende umane non è di tipo causale: i pianeti non influenzano la vita degli uomini (nemmeno tendenzialmente, come in Dante), è che si verifica una sincronicità junghiana tra eventi fisicamente non collegati tra loro, una specie di risonanza quantistica.
Altra cosa è una coincidenza che è manifestazione di un disegno, un piano, una volontà, magari inintelligibile, occulta e ambigua, ma in ogni caso certamente orientata verso una finalità ben determinata.
Questo scopo può essere indecifrabile (le vie del Signore sono infinite) o soggetto a interpretazione (segui quel certo toro e dove lui si ferma fonda una città), ma svolge comunque una parte rilevante nello svolgimento della vicenda (racconto). Le coincidenze che portano Edipo a uccidere il padre naturale e a giacere con la madre sono sistematiche, coordinate, finalizzate all'avverarsi dell'oracolo che le aveva descritte.
Questo genere di coincidenze è quello che troviamo nei racconti popolari, siano essi di tipo leggendario o appartenenti all'industria dell'intrattenimento (feuilleton o soap opera). Se Romeo non avesse letto la lista degli invitati alla festa dei Capuleti, e non vi avesse trovato, tra gli altri, quello della sua Rosalina, non si sarebbe imbucato in detta festa, non si sarebbe imbattuto in Giulietta e non sarebbe scoccato, tra i due, l'amore a prima vista. Se Romeo non fosse stato bandito, se il padre di Giulietta non avesse voluto affrettarne il matrimonio combinato con Paride, se il messaggio di fra' Lorenzo che informa Romeo che la morte di Giulietta è solo apparente fosse giunto in tempo...
Certo, l'intera arte narrativa (che modella il caos in un ordine comunicabile, “raccontabile”) è innervata di coincidenze, altrimenti cosa potrebbe trasformare una sequela di eventi slegati tra loro in una storia?
Di fronte alle coincidenze finalizzate che incontriamo all'interno dell'universo narrativo di un'opera, potremmo anche chiederci chi è che dice: “Perbacco, tutto ciò non avviene per caso!” Di solito è il lettore che “vede” le coincidenze, mentre i personaggi della storia tendono a ignorarle, o almeno non se ne stupiscono. Né Edipo, né Romeo si interrogano sulle improbabili circostanze che incontrano. Esiste però anche il caso in cui sono i personaggi che, dall'interno del loro universo narrativo, giudicano taluni eventi come improbabili, o addirittura incredibili. Interessante, a questo punto, è esaminare il modo in cui questi personaggi si spiegano le coincidenze.
In Amleto ci sono coincidenze “fittizie” (che combinazione che la recita degli attori girovaghi rievochi con tanta precisione l'assassinio del vecchio Amleto!) e coincidenze “problematiche”: Amleto è pronto ad accoltellare Claudio, ma, il caso vuole che in quel momento il re stia pregando e confessando i propri peccati davanti a un altare di cappella, ed è Amleto che decide il peso della coincidenza, anzi, il fatto stesso che lo sia, fantasticando di un'improbabilissima salvazione dello zio nel momento della morte.
Con la “resurrezione” di Valentine, messa in scena a beneficio di Maximilien, c'è un elemento in più (decisamente inquietante): ha sofferto abbastanza, il giovane Morrel, da meritarsi il miracolo provvidenziale? A un certo punto sembra quasi che se Montecristo si persuadesse che Maximilien è capace di sopravvivere alla perdita di Valentine, be', allora non vale la pena di riunire i giovani amanti. Scena ipotetica: Montecristo dà a Morrel un vero veleno, Morrel muore, fa il suo ingresso Valentine, vede il morto, Montecristo dà anche a lei il veleno, fine.


Pierre Batcheff nei panni del Conte di Montecristo per il film Le Comte de Monte-Christo/Monte Cristo (Henri Fescourt, 1929)

I nomi di Montecristo
Delle personae che Dantès assume nel corso del romanzo, solo due (l'abate Busoni e Lord Wilmore) sono veri e propri nomi di copertura, identità fittizie. Difatti, lo stesso personaggio del Conte di Montecristo non è una falsa identità, dato che il titolo è stato ottenuto (ovviamente pagando) per grazia delle autorità toscane: Dantès non simula di essere, è il Conte di Montecristo.
Zaccone è solo un nome, una finta informazione data in pasto all'agente di Villefort, e quanto al personaggio di Simbad il marinaio, non è nemmeno uno pseudonimo, essendo notoriamente il nome di una figura fiabesca, ma una rivendicazione di anonimato. Complicazione collaterale: Montecristo dà a intendere a Benedetto che Simbad il marinaio sia un'identità di comodo di Lord Wilmore.
Ma siamo sicuri che tutte le identità “indossate” da Dantès siano fittizie, o inventate? Ipotizziamo che l'armatore maltese Zaccone esistesse davvero, e che avesse un figlio di pochi anni. Ipotizziamo che finisca in brutto impiccio che lo mette nel mirino di gente facile alla violenza. Zaccone si rivolge al suo caro amico abate Busoni, perché porti al sicuro il piccolo Zaccone. Busoni conosce un brav'uomo di Marsiglia, vedovo e senza figli, che sarebbe contentissimo di accogliere in casa un povero bimbo in difficoltà. Il brav'uomo è Louis Dantès. In questo modo, il piccolo Zaccone diventa Edmond Dantès. Quando il ragazzo ha diciotto anni, Louis Dantès gli rivela le sue vere origini, gli parla di Zaccone, di Busoni, eccetera.
Edmond, tuttavia, resta con Louis. Zaccone è morto, e comunque è Louis che egli considera come padre.
Quando Edmond fugge dal Castello d'If, e dopo aver beneficiato il vecchio Morrel, va in cerca dell'Abate Busoni (chi lo sa, forse per un consiglio spirituale sulla sua “vendetta provvidenziale”), ma scopre che anche il prete è morto. Dantès ne approfitta per rubarne l'identità, un'identità di prestigio. Quanto a Lord Wilmore, è semplicemente il committente originale dello Yacht che Dantès acquista dopo il suo primo viaggio a Montecristo. Certo, è rischioso impersonare un nobile britannico realmente esistente, ma in un Europa priva di database dell'Interpol la cosa non è poi così assurda.
Seguendo questa linea ipotetica, l'unico vero (veramente fittizio) pseudonimo adottato da Dantès è quello, smaccatamente fantastico, di Simbad il marinaio.



Ary Scheffer - Temptation of Christ (1854)

L'Antieroe Montecristo e l'Ipotesi di una Provvidenza Maligna
E se licito m’è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?

O è preparazion che ne l’abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l’accorger nostro scisso?

(Purgatorio VI, 118-123)

Montecristo è senza dubbio un antieroe (non nel senso originario di personaggio con caratteristiche opposte a quelle dell'eroe, ma in quello romantico e moderno di eroe carico di lati ambigui e oscuri), commette azioni decisamente immorali, eppure (all'interno della teodicea del romanzo) egli è uno strumento della provvidenza, quindi, in ultima analisi, uno strumento del Bene.
È ipotizzabile l'esistenza di una Provvidenza maligna, l'esistenza di un anti-Montecristo? In una prospettiva genericamente “cristiana” (quella del romanzo di Dumas), decisamente no. Gli uomini possono farsi del male l'un l'altro, ma la Provvidenza è una funzione del Dio Unico, che sovrasta le vicende umane senza né ostacoli né rivali. Addirittura, da un'angolazione di cristianesimo riformato, la Provvidenza può finire per confondersi con la Predestinazione. Una provvidenza maligna potrebbe esistere solo in una realtà manicheistica, in cui il principio del bene e quello del male sono equipotenti, e in cui il trionfo del Bene non è mai dato per scontato. Un esempio estremo lo possiamo trovare in Leopardi, che evoca Arimane (Angra Mainyu, lo spirito malvagio del mazdeismo) in un inno che sembra configurarlo non come principio negativo opposto a un principio positivo, ma come unica divinità a sovrintendere l'esistente. Del resto, la visione del cosmo materiale come qualcosa di irrimediabilmente corrotto, impermeabile a qualsiasi apocatastasi, è una costante della cultura occidentale che procede dagli orfici agli gnostici, fino a catari e patarini.
Per associazione, da Leopardi potremmo arrivare al pessimismo del Qohélet, ma qui, più che un'antiprovvidenza, regna l'entropia, il disfacimento inesorabile del cosmo.
Ma anche nel cristianesimo tradizionale questi concetti offrono spazio all'ambiguità. Prima della Provvidenza manzoniana esisteva la Fortuna medievale, quella descritta da Dante nel VII dell'Inferno. Essa permuta e fa avvicendare ascesa e caduta di singole esistenze, di stirpi, di regni, con un andamento incomprensibile per l'intelletto umano (è la Fortuna di cui si lamentano i Carmina Burana). Il suo scopo è edificante, rende gli esseri umani consapevoli della transitorietà di ogni bene mondano, e non ha nessuna funzione redistributiva, non punisce i cattivi e non ricompensa i buoni. Comprensibile, quindi, che gli umani spesso la maledicano.
In ogni caso, anche la Fortuna è ben lungi da essere una contro-Provvidenza, così come la sfiga indiscriminata della cosiddetta Legge di Murphy (o la meschina malignità di oggetti ed elementi naturali in Tre Uomini in Barca). La contrapposizione Fortuna vs. Provvidenza (il vecchio Morrel perseguitato dalla sventura imprenditoriale, salvato da Montecristo con modalità “miracolosa”) affiora ogni tanto, ma non evoca alcuno schema.



Nella bella serie televisiva Tru Calling, la protagonista (interpretata da Eliza Dushku) risponde alle invocazioni di persone appena defunte, e rivive le precedenti ventiquattr'ore per impedire la loro morte. Ora, mentre Montecristo “crede” di essere uno strumento della Provvidenza (ma potrebbe anche essere solo un fanatico autoilluso), Tru è materialmente manovrata da un potere esterno a lei (di cui ignora natura e finalità). Lo conferma l'apparizione, a un certo punto della vicenda, di un personaggio (interpretato da Jason Priestley) che è stato investito del compito di opporsi e di disfare quello che Tru ha invece il compito di fare.
Tutto ciò viene presentato come una sorta di fenomeno naturale, senza alcuna implicazione etico-religiosa: infatti, in un episodio della serie i due antagonisti sono costretti a scambiarsi, sia pure momentaneamente, i ruoli.
Si tratta di una prospettiva materialistica incompatibile col cristianesimo (sia pure un po' cialtrone) di Montecristo, che ci dà un altro spunto per ribadire che, no, non può esserci un anti-Montecristo (non considerando la “normale” malvagità umana di qualcuno che con premeditazione rende la vita di un altro un inferno, come accade, ad esempio, nel romanzo di Cody McFadyen Gli Occhi del Buio).
L'unica cosa che si avvicina a una Provvidenza maligna è l'idea che gli eventi abbiano la tendenza ad accanirsi contro le figure particolarmente rappresentative di valori legati a innocenza e bellezza. Si va dalle innumerevoli eroine perseguitate dei romanzi gotici fino alla teorizzazione sadiana delle Sventure della Virtù: una fanciulla bella, pura e virginale, tende ad attirare le disgrazie e le malefatte dei malvagi, è quasi un fenomeno fisico, è come se fosse un parafulmine.
E a proposito di parafulmini, nella Concezione del Dolore di Gadda troviamo la perfetta definizione di questa “legge”:
Accoccolate lì sotto, in positura assai vereconda, e un po’ subalterna rispetto alle due pròtesi di Villa Giuseppina, e pittate di chiaro, avevano quell’aria mite e linfatica che vieppiù eccita, o ne sembra, il crudele sadismo dell’elemento.

Romina Power in Justine ovvero le disavventure della virtù (Marquis de Sade: Justine) (Jesús Franco 1969)

VARIAZIONI

Principio dell'iceberg.
Un brano del romanzo:
«Lasciatemi dire, capitano… Siamo appena venuti a conoscenza – continuò Albert, – di un episodio così eroico del signore che, sebbene l’abbia visto oggi per la prima volta, reclamo da lui il favore di presentarvelo come mio amico».
E a queste parole si sarebbe potuto notare in Montecristo quello strano sguardo fisso, quel rossore furtivo e quel leggero tremito delle palpebre che in lui svelavano l’emozione.
«Ah! il signore ha un cuore nobile – disse il conte, – meglio così».
Quella specie di esclamazione, che rispondeva al pensiero del conte più che a quanto era stato detto da Albert, sorprese tutti, e in particolare Morrel che guardò Montecristo con stupore. Ma nello stesso tempo il tono della voce era stato così dolce e, per così dire, soave, che per quanto strana fosse sembrata quell’esclamazione, non era possibile restarne infastiditi.
Lo stesso brano riscritto da Hemingway:
«Lasciatemi dire, capitano… Siamo appena venuti a conoscenza – continuò Albert, – di un episodio così eroico del signore che, sebbene l’abbia visto oggi per la prima volta, reclamo da lui il favore di presentarvelo come mio amico». 
«Ah! il signore ha un cuore nobile – disse il conte, – meglio così».

Montekristus, un film di Lars von Trier: M
ontecristo torna dopo vent'anni nella cittadina di provincia che ha visto la sua sventura, ansioso di vendicarsi. Ma, inspiegabilmente, tutti i piani volti alla rovina dei suoi nemici falliscono, e anzi, quelli che a suo tempo l'hanno tradito scoprono chi è, sottoponendolo a una nuova, ancora più efferata persecuzione. Disperato, Montecristo impazzisce invocando Dio, che gli si presenta nelle vesti di un airone color verde pisello, che però muore quasi subito, sventrato dall'interno da un enorme verme nero e peloso.


Monte-Christo, un film di Catherine Breillat: Montecristo si è vendicato e sta per partire verso una nuova vita insieme alla bella Haydée, ma scivola nella doccia, batte la testa e muore.

Post precedenti su Montecristo Primo, Secondo, Terzo post, Quarto

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