venerdì 12 luglio 2019

Montecristo, quale vendetta? Di male in peggio


di Domenico D'Amico


Abbiamo già osservato come il “lieto fine” della vicenda di Edmond Dantès/Montecristo, nel contesto della tragedia di vendetta, sia una novità, per quanto non assoluta.
Questo non vuol dire che i narratori si siano dimenticati del meccanismo (fondamentalmente tragico) che porta a volte il vendicatore a decostruire la propria umanità, e a votarsi quindi all'autodistruzione. L'eroe, vendicandosi, si separa dal contesto della “società civile”, e non può più tornare indietro. Un esempio è il film danese Darkland (Underverden, 2017) in cui il protagonista, una volta vendicata la morte del fratello, si rende conto che tra lui e la sua esistenza precedente (una buona carriera, una moglie amata, un figlio in arrivo) ormai c'è una barriera invalicabile, quasi tangibile. La distruzione finale arriva anche in storie come Giustizia Privata (Law Abiding Citizen, 2009), Death Sentence (Id., 2007) o Blue Ruin (Id., 2013). Insomma, Montecristo non ha di botto trasformato il sentiero della vendetta in un letto di rose.
Ma se pensate che la fatale rovina del vendicatore sia deprimente (rispetto a quanto vi facciano gongolare Charles Bronson e Denzel Washington), siete in errore. C'è di peggio.
C'è la vendetta istituzionale, quella sanzionata dal potere (statale o meno), che la modernità presume di aver superato. Tra parentesi, quando Dumas accenna alla tradizione della vendetta corsa non traccia la minima connessione con le azioni di Montecristo, anzi, quel genere di omicidi viene descritto come una specie di delitto minore, in quanto l'omicida obbedisce alla pressione sociale, non a un interesse o istinto puramente personale, il che, in un certo senso, lo deresponsabilizza:

«Eh, Dio mio – ribatté Gaetano – non è loro colpa se sono banditi, è dell’autorità».«Come sarebbe?».«Certamente. Vengono perseguitati per aver fatto la pelle a qualcuno, nient’altro. Come se non fosse nella natura del còrso vendicarsi!».«Che intendete con “aver fatto la pelle a qualcuno”? Aver assassinato un uomo?», chiese Franz proseguendo con le sue indagini.«Intendo aver ucciso un nemico – ribatté il padrone – la qual cosa è ben diversa».

Nella realtà, la vendetta istituzionalizzata è qualcosa di terribilmente insensato, come si può leggere in Aprile Spezzato, romanzo di Ismail Kadare. L'infinita catena di omicidi e contro-omicidi richiesti dalla tradizione (la storia si svolge nel nord dell'Albania) non ha nulla di caotico o “selvaggio”, tutto è meticolosamente regolato (ad esempio, per l'omicida del momento è previsto un periodo di immunità di trenta giorni), e la faida non implica nessun senso né morale né affettivo, è una vera e propria industria che si autoalimenta: il vecchio saggio che viene interpellato a un certo punto della narrazione potrebbe porre fine a una delle faide in corso, e potrebbe farlo senza alcuna conseguenza. Ma si rifiuta, le uccisioni devono continuare.
Siamo lontani dalla “vendetta corsa” di un Bertuccio dumasiano: qui la vendetta è puro meccanismo, pura contabilità di una merce (in fondo) inesistente. Un titolo spazzatura.
Ma se la faida può lasciare l'amaro in bocca, cosa succede se ci si vendica sulla persona sbagliata? Esempio limite, Irréversible (ma Gaspar Noé, si sa, ama punire il suo pubblico, per puro sadismo), o, se si vuole, Mystic River. Ma se davvero volete male a qualcuno, costringetelo a leggere Nel Nome di Mia Figlia, romanzo di Louise Doughty (Whatever You Love, 2010). Una donna perde la sua bambina per colpa di un pirata della strada, e non demorde finché non riesce a identificarlo. Sembra la premessa di un avvincente dramma di vendetta, no? No. La protagonista prima scopa con l'assassino della figlia, poi gli impone di ammazzare la nuova moglie dell'ex marito, perché la sospetta di averle spedito lettere anonime molto crudeli. Una volta che la poveraccia scompare, si scopre che era del tutto innocente. Fine della storia. Come direbbero gli anglosassoni: uplifting.
C'è tuttavia un elemento comune a tutti i generi di vendetta, anche quelli più sfortunati e insensati: a un certo punto la vendetta viene consumata, bene o male si è giunti a una conclusione, anche se tragica o insoddisfacente o ingiusta...
Ma che succede se avete subito un torto terribile e non potete vendicarvi perché siete morti? No, non potete tornare dall'aldilà come Eric Draven.
O chissà, siete all'Inferno e avete la fortuna di ritrovarvi tra le mani proprio chi vi ha arrecato quell'indicibile torto. Fortuna? Non proprio.

Alberto Martini - Il conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggeri, 1943

Il conte Ugolino della Gherardesca (Inferno, XXXIII, 1-78) si vendica dell'arcivescovo Ruggeri, sì, ma la sua è una vendetta sterile, una vendetta che non sarà mai compiuta, che resterà eternamente in atto, fissata nel ghiaccio del Cocito, nel gusto insensato del cranio che addenta, una vendetta che gli farà anche rivivere in perpetuo l'orrore dei suoi ultimi giorni di vita, suoi e dei suoi figli. Figli che non vedrà più, per l'eternità.



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